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Stranger Things: una lettera d’amore sci-fi/horror agli anni ’80

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“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?”

Gordie Lachance – Stand By Me

In molti hanno provato a descrivere Stranger Things, la nuova Netflix Original Series dei fratelli Duffer, che ha debuttato il 15 Luglio: un mix tra The X Files e Stand By Me, un mix dei cult anni ’80 con una strizzata d’occhio a King e Spielberg, un’opera piena di citazionismo. Ma assurdamente credo che Stranger Things sia un prodotto molto originale, che riprende elementi e tropes usati in varie opere che tutti conosciamo e li usa in modo intelligente e nuovo.

Sembra quasi impossibile vedere Stranger Things senza pensare a Stand By Me, The Goonies, E.T. e tutti quei film che hanno fatto del legame nell’infanzia il loro punto di forza. Gordie Lachance, interpretato da Weathon in Stand By Me, diceva proprio che da adulti è impossibile avere amici come quelli che si hanno a 12 anni, questo show ci dimostra proprio che non c’è niente di più vero. Il legame tra il cast di bambini, il rapporto tra Mike ed Eleven, l’amicizia come punto fermo, come motrice, come polmone della storia è uno degli elementi più riusciti di questa prima stagione.

La coralità dello show, che mi ha ricordato molto quella di Twin Peaks, è un altro punto di forza. Seguiamo diverse storyline, con diversi personaggi nella stessa cittadina, storyline che convergono nel finale e che hanno un senso se unite, non sono pezzi presi a caso e buttati lì. Questi personaggi, ognuno di loro, potrebbero avere tutti il loro spin-off: i bambini, gli adolescenti e gli adulti. Funzionano in stand-alone e funzionano insieme, questa è un grande vittoria in un panorama televisivo che tende a disprezzare la coralità e ha l’abitudine di focalizzarsi sui personaggi e sulle storie più apprezzate.

Le performance del cast sono incredibili, vorrei fare un’ode ai bambini: è difficile trovare attori bambini veramente bravi, ma chiunque si sia occupato del casting ha fatto davvero un ottimo lavoro. In particolare, Millie Bobbie Brown, che interpreta Eleven (Unidic) ha un talento straordinario nell’esternare un’emozione semplicemente con uno sguardo. Ho sentito il suo dolore e le sue gioie durante tutto il corso della serie. Winona Ryder è stata eccezionale, come sempre, penso che mi tatuerò #winoforever anche io.

Il mistero che fa da catalizzatore della storia è interessante ma è solo un incipit per esplorare la psicologia e il percorso dei personaggioun po’ come “Chi Ha Ucciso Laura Palmer?” doveva essere solo il punto di partenza di Twin Peaks. La scomparsa di Will si dimostra un espediente narrativo che ci permette di conoscere le relazioni e le dinamiche della storia.

La colonna sonora è piena di pezzi anni ’80, la stessa sigla sembra omaggiare le tinte sci-fi/horror di quel periodo.

Ho trovato l’elemento sci-fi meraviglioso, con strizzate d’occhio a Predator, Alien, ma anche Cloverfield (in versione ridotta), Fringe (per la storia del mondo capovolto, The Upside Down). Gli elementi fantascientifici sono stati estremamente interessanti e mai banali.

Lo show è genuinamente coinvolgente, difficilmente sono riuscito a guardare un episodio alla volta, credo sia il perfetto prodotto da binge-watch, è una storia che sembra un grande film compensato in otto episodi. Necessita sicuramente di un’altra stagione, non solo per alcune ramificazioni interessanti: tra cui i rapporti tra i personaggi, ma anche perché la serie termina con una sorta di cliffhanger e si sente il bisogno di esplorare di più il mondo che è stato creato.

In conclusione, uno show estremamente valido, che mi ha accompagnato in piacevoli ore di binge-watching: mi ha emozionato, ha saputo intrattenermi e mi ha incuriosito, mi ha veramente appassionato. Una lettera d’amore sci-fi/horror agli anni ’80.

 

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