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Stranger Things 3 – La fine dell’innocenza – La recensione della terza stagione

In Stand By Me di Rob Reiner (film tratto dal racconto di Stephen King ‘The Body’) c’è una delle mie citazioni preferite di sempre, una frase che descrive pienamente ciò che si prova guardando Stranger Things: “Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha”.

Questa citazione assume un significato del tutto diverso quando guardiamo la terza stagione. Non siamo più quei bambini in bicicletta, quelli che partono per l’avventura, la cercano, la bramano. Ora siamo una voce fuori campo che descrive ciò che è stato. Ed è giusto così, perché i bambini di Stranger Things… non sono più bambini. Non sono più i Goonies che trovano una mappa in soffitta e corrono a cercare il tesoro.

Ci sono gli ormoni. Ci sono le ragazze e i ragazzi. C’è la voglia di non sembrare fuori posto. C’è l’adolescenza. E Stranger Things è estremamente intelligente nel trattarla. Ma andiamo per storyline.

I dump your ass!

Eleven e Max sono una delle cose migliori di questa stagione. C’erano tutti i presupposti per presentarcele come nemiche e invece la serie, in modo originale, le ha rese una squadra. L’ingenua Eleven che prende consigli da un’ancora più ingenua Max. Le due Veronica Mars dello show sono una boccata d’aria fresca. Sono amiche, sono complici e non si pugnalano alle spalle. Siamo abituati a vedere, di continuo, ragazze contro ragazze, mentre in Stranger Things vediamo ragazze che supportano ragazze.

In modo più adulto, e anche più difficile, la storyline della difficoltà di essere una ragazza (e di dover combattere ogni giorno) viene affrontata tramite Nancy, maltrattata e disprezzata dalla redazione del giornale per il quale lavora. La conversazione che ha con sua madre è uno dei momenti più alti della stagione.

It’s not my fault you don’t like girls.

Non tutti cresciamo con gli stessi ritmi. Will Byers, ad esempio, vuole ancora prendere quella bicicletta, vuole ancora cercare quel tesoro. Non gliene frega niente di appuntamenti… e di ragazze, vuole solo giocare a D&D. Noah Schanpp è uno dei più talentuosi del cast e in questa stagione è stato un po’ messo da parte. Ma sono stati piantati dei semini che potrebbero germogliare in interessanti storyline per il futuro. Will potrebbe essere gay e le potenziali ramificazioni di una storia incentrata su un adolescente gay nella seconda metà degli anni ’80 sono troppo importanti per essere lasciate da parte.

Redeem the douchebag.

Il character development di Stranger Things è uno dei suoi punti di forza e questa stagione non è stata da meno. Pensiamo a Steve: tutti lo odiavamo nella stagione uno ed ora è uno dei nostri personaggi preferiti. Si è un po’ evoluto in stile Cordelia Chase. Billy, in modo più sottile, è in assoluto uno dei personaggi della stagione e ci ha dimostrato che qualche volta, ci dispiace anche per i cattivi ragazzi.

Let’s go to the Mall, everybody!

Uno dei punti di forza della stagione è il centro commerciale: sia per la cornice che dà ai personaggi, che per i riferimenti agli anni ’80, sia per il fatto che è un po’ un luogo di incontro per i diversi gruppi che si creano durante gli episodi. Perché sì, questa stagione divide i personaggi, per poi riportarli tutti assieme in modo organico. E funziona alla perfezione.

The breakout character

Ogni stagione ha avuto il suo breakout character, quel personaggio che spicca e che entra nel cuore degli spettatori. Di solito le serie ben avviate hanno poca fortuna quando introducono nuovi personaggi dal nulla (pensiamo a Nikki e Paulo in Lost), ma Robin si incastra perfettamente nel puzzle della serie.

Le scene tra Robin, Steve e Dustin sono tra le più divertenti della stagione.

Ho due honorable mentions: Erica e Alexei.

Never Ending Story

Stranger Things ha la capacità di creare dei momenti iconici dal nulla. Ed è proprio il mix di generi che rende questa serie così importante. C’è l’horror, c’è la comedy, c’è la science fiction, c’è anche un po’ di sovrannaturale. Ecco perché quando i Duffer ti piazzano una cover di Never Ending Story, cantata da Dustin e Suzie, tu non batti ciglio.

The End of Innocence

Il finale ci lascia con parecchie lacrime e con l’idea che un cerchio si sia chiuso. Ma forse, in realtà, non è una vera fine, è solo la chiusura di un capitolo. La terza stagione di Stranger Things è questo: la fine dell’innocenza, l’inizio di qualcosa di nuovo.

Ed è la stagione che funziona di più (sì, anche più della prima) per vari motivi. Lo show sfrutta al massimo tutte le qualità positive della serialità: il character development, lo sviluppo delle storyline, il fatto che ci siamo affezionati a questi personaggi (le perdite di questa stagione avrebbero avuto tutto un altro sapore in passato) ed una mitologia ben salda.

E per chiudere (come abbiamo iniziato) con una frase di Stand By Me: “Gli amici vanno e vengono nella vita, come i fattorini in un albergo,” ecco, ho la sensazione che quelli di Stranger Things resteranno.

Momenti più alti della stagione

“I dump your ass” è già diventato iconico, vero? (Ho ordinato la t-shirt).

Il confronto tra Will e Mike

Il montaggio di Eleven e Max al centro commerciale.

Il momento tra Nancy e sua madre

Hopper impacciato con Joyce

Robin

You can’t spell America without Erica

Hopper che prova ad insegnare a Mike che cosa sia il rispetto.

Steve che finalmente vince una battaglia

Il duetto di Never Ending Story

Billy che si redime.

Eleven che legge le parole di Hopper

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